Perché lo smart working non funziona in Italia?

Perché lo smart working non funziona in Italia?

Questo vuol essere solamente una mia riflessione e un confronto per capire se questo modo di lavorare possa essere fattibile o fallace e impossibile da realizzare.

Parlando, ascoltando, ma soprattutto osservando vari luoghi di lavoro mi sono fatto l’idea che il lavoro in Italia è incentrato più sull’orario, sul controllo che sulla qualità e sulla creatività.

Lavoro nell’IT già da 20 anni partendo come tecnico computer, stampanti e ATM  (lavoro conosciuto adesso come HelpDesk on-site), fino ad amministratore di sistemi in una ditta di sviluppo software (sysadmin on-site, per me “dentro e fuori dal CED”). Per interesse personale ho imparato a sviluppare app android e web.

Ho visto cambiare significativamente il nostro lavoro informatico (sia per la gestione delle macchine, sia per la parte di sviluppo). Ho vissuto lo svuotamento del Data Center locale all’inzio attraverso la virtualizzazione, poi attraverso lo spostamento delle macchine (virtuali e fisiche) prima in un DC centralizzato, poi sulle nuvole.

Ho vissuto personalmente l’inserimento dell’obbligo del badge aziendale per entrare e uscire, per garantire ai dipendenti l’accesso al locali prima, e trasformato poi in controllo presenze (non vorrei con questo entrare in discussione, non è mio interesse polemizzare sul badge).

Ho visto i responsabili aggirarsi furtivi per gli uffici per controllare i dipendenti alle scrivanie o per vedere chi era alle macchinette del caffé.

Mi sono sentito riprendere perché mi vedevano in corridoio senza chiedermi spiegazioni (in effetti potevo “cazzeggiare”, tornare dal bagno, ma anche andare a fare un sopralluogo o spiegare un problema tecnico a un collega).

In ultimo ho dovuto gestire il blocco di internet con firewall e proxy prima e dopo l’avvento dei social network limitando l’accesso ai soli siti “utili” per il lavoro.

Un po’ opprimente, non credete?

Ora mi chiedo, questo tipo di controllo è così necessario e funzionale in termini di produttività e creatività? sviluppa un buon ambiente di lavoro?

Ad esempio adesso che buona parte dei servizi sono esterni all’azienda (quindi una internet ultra sfruttata dai push/pull e da ricerche dedicate) ha senso avere tutti i dipendenti (specialmente programmatori) nella stessa stanza (leggi open space) quando la maggior parte dell’interazione tra dipendenti e responsabili si svolge tramite chat, telefono, meeting ed email?

Quindi che differenza c’è tra lavorare in sede o da casa?

Nessuno stress da viaggio, maggiore flessibilità di orario ma anche maggior responsabilità nella gestione della propria parte dei progetti.

Il datore di lavoro però ha la sensazione di non “sfruttare” appieno le giornate lavorative dei dipendenti, le famose 40 ore.

Quindi qualità o quantità?

Certo che un compromesso, giusto per provare, potrebbe essere quello di dedicare dei giorni allo smart working (2 o 3 su 5) per concentrare lo sviluppo delle idee e i resoconti sullo stato dell’arte in sede.

Spesso ho assistito e partecipato alla risoluzione di problemi o allo sviluppo di nuove idee proprio alle macchinette del caffè, nelle pause pranzo e in altri momenti informali.

Anche in termini economici (per le aziende) un sistema di lavoro più flessibile potrebbe essere più vantaggioso? Quanto si potrebbe risparmiare ad esempio in relazione agli sprechi energetici quotidiani con spazi/ufficio più ridotti? Quanto potrebbero essere meglio impiegati i “cani da guardia” che si aggirano negli uffici etc.?

E se non ci fosse proprio una sede fisica?

Poi perché dover sviluppare un progetto o una idea solamente o dedicatamente dalle 9 alle 18?

Dal mio personale punto di vista non mi lamento del lavoro on-site dove posso interagire con i colleghi, fare una pausa insieme, scambiare consigli e opinioni lavorative ed extra-lavorative e condividere idee e interessi futuri ma certo sarebbe interessante sperimentare forme di lavoro “miste” come quelle offerte dai sistemi di smart working!

Filippo